Categoria: lettere, opinioni, comunicati

Una democrazia in gravi condizioni

Ultime  notizie: alla Vucciria, il mercato di Palermo, sui banchi dell’offerta politica, divenuti ormai non dell’offerta di idee e di progetti, ma della compravendita di voti, siamo alla svendita della libertà di pensiero e di coscienza: un voto ormai vale 25 euro, ovvero un paio di pizze con un bicchiere di birra. D’altronde, per un candidato di quel Consiglio regionale vale la pena un investimento in un po’ di pizze e po’ di birre per arrivare a 8.200 euro mensili netti, senza contare altre prebende per  “indennità di funzione”. Una Regione, quella siciliana, com’è noto a “Statuto speciale”, ovvero con il massimo dell’autonomia concessa dalla Costituzione che non è stata bene utilizzata, visto il pesante costo per le case dello Stato italiano: i 165 milioni l’anno di disavanzo per 5 milioni di abitanti con la particolare situazione di avere 15 mila dipendenti, di cui 6 mila non possono essere trasferiti da un ufficio a un altro, 2800 usufruiscono di 3 giorni di permesso al mese, quindi dell’intrasferibilità, previste della “legge 104” per disabilità propria o di un familiare. Difficile non confrontare questi numeri con il bilancio della Lombardia: 4 mila dipendenti, disavanzo 68 milioni per 10 milioni di abitanti. Lombardia quindi una “terra promessa”? È bene però non scadere in facili conclusioni, ovvero il Sud spendaccione e incapace di governare e il Nord oculato amministratore. Chi governa oggi a Milano, ha resuscitato il perverso pensiero secondo cui è concesso usare spudoratamente dei soldi pubblici “ad usum fabricae”, come quella del proprio partito. È successo con l’ultimo referendum clamorosamente inutile che la Giunta di Roberto Maroni ha sfruttato per la conquista della primazia “a destra” tra Salvini e Berlusconi, visto che fra pochi mesi si voterà per il rinnovo del Consiglio regionale e poco dopo del Parlamento nazionale. Costi sostenuti: 56 milioni in spot pubblicitari, stampati, 24 mila tablet, apertura seggi, ecc.. Ma in questa sede l’intento è anche altro, quello di cancellare il falso sinonimo: “autonomia” uguale buona amministrazione. Al Nord, al profondo Nord, c’è infatti una Regione anch’essa a “Statuto speciale”, la Valle d’Aosta, che si trascina da anni grossi buchi di bilancio con il suo Casinò di Saint Vincent: 140 milioni nel 2015 e 114 nell’ultimo del 2016, 12 mila dipendenti per 128 mila abitanti. Di ieri l’uscita di Romano Prodi: «Una tragedia, Italia al baratro». Esagerazione? Magari lo fosse. Il dato della partecipazione al voto è un indizio preoccupante: dal 1948 al 1979, in 30 anni è passata dal 92 al 90%; dal 1983 al 2006, in circa 25 dall’88 all’81%. Nel 2013, dopo solo 7 anni, sono calati di altri 9 punti percentuali, mentre il 94-95% degli italiani non ha fiducia nei partiti. 2017, in Sicilia, siamo arrivati al punto che gli elettori che non vanno a votare sono 53%, più della metà degli aventi diritto e quelli che ci sono andati, hanno dato il voto, verosimilmente, alla protesta populista, all’interesse privato e all’affarismo in genere. Per gli appuntamenti delle regionali e delle politiche dell’’anno prossimo staremo a vedere. Per concludere, sembra giustificato lanciare un “j’accuse” al centrosinistra per la sua incapacità  di partorire un “pensiero” nuovo, convincente, lungimirante, libero da miti del passato. Un progetto di futuro che comprenda uno sforzo comune, a partire da chi ha di più, per affrontare con efficacia i gravi problemi causati dai cambiamenti del clima sempre più marcati e per rendere finalmente compatibili, a differenza di oggi, il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Inaccettabile l’avere consentito a una mummia di un recente ed opaco passato, Silvio Berlusconi, di “scendere nuovamente in campo”. “Mala tempora currunt”.

Benito Fiori

“Aem non aveva liquidità per andare avanti” Enrico Manfredini spiega i motivi del piano di risanamento

Devo ritornare sul tema Aem e suo risanamento, potrò rischiare di tediare qualcuno, ma occorre essere precisi per non perdere di vista i fatti nella loro realtà. L’argomento infatti è un po’ ostico, ma di grande rilievo e, purtroppo, leggendo i vari interventi, si evidenzia che non sono stati colti gli aspetti basilari. Non si comprende se per volontà di fare polemica politica o per mancanza di alcune nozioni base di economia. Cerco di spiegarmi, in modo un po’ semplicistico, se si vuole, ma per farmi capire…

Primo punto.
Il problema di Aem era un problema di liquidità (non c’erano entrate sufficienti pagare debiti ed interessi). Vi erano quindi evidenti problemi di continuità aziendale e conseguentemente Aem rischiava di dover portare i libri in tribunale per attivare una procedura concorsuale che avrebbe potuto determinare la messa in liquidazione (ovvero vendita imposta di beni aziendali) per poter pagare i creditori. L’intervento fatto dal Cda è stato teso a riequilibrare la situazione economica/finanziaria dell’azienda. Si possono avere gioielli e palazzi, ma se non hai i soldi per prendere il pane, sei costretto a vendere qualcosa per tirare avanti!!

C’era qualche alternativa alla vendita di parte del patrimonio per riequilibrare la situazione? Forse l’unica possibilità, non certo risolutiva, era quella di allungare la scadenza del debito… Insomma una lenta agonia. Per quanto riguarda la vendita di parte del patrimonio di Aem, credo sia da inquadrare in una cornice più ampia: quali sono i beni strategici per l’azienda per svolgere il ruolo che oggi le è affidato? Le reti idriche sono strategiche per Aem visto che c’è una società del territorio (Padania Acque) che si occupa del servizio idrico? Stesso discorso per Km: ha valore strategico detenere il 50% di capitale di una società che è gestita da altri? È così via discorrendo… Certo si possono fare valutazioni differenti, ma occorre tenere presente che Aem dieci o venti o cinquanta anni fa operava in un contesto e con finalità diverse da quelle attuali!

Secondo punto.
Si discute molto di chi sia la responsabilità della creazione del debito di Aem, ma il punto è di merito. Il cuore del problema è la sostenibilità del debito, ovvero la capacita economico/finanziaria di poter far fronte al pagamento delle rate di interessi e quote in conto capitale. Aem avrebbe potuto avere anche un debito maggiore di quello che ha raggiunto se però avesse avuto la capacità di generare risorse per pagare interessi e quote capitale.

Questo equilibrio è uno dei punti nodali per qualsiasi azienda e deve essere costantemente monitorato per evitare di entrare in una spirale pericolosa. Questo equilibrio in Aem è iniziato a saltare dopo il 2010, a seguito di alcune operazioni economiche e per il fatto che gli introiti della società hanno iniziato a diminuire. La concomitante presenza di questi due elementi, che si è prolungata per alcuni anni, ha posto l’azienda in gravissime difficoltà. Occorreva monitorare meglio questo delicato equilibrio!

Ora abbiamo una Aem diversa, chiamata ad operare in un contesto economico nuovo e con fini istituzionali nuovi rispetto ad alcuni anni fa. Facciamo in modo che svolga il suo compito al meglio, offrendo ai cittadini servizi di qualità negli ambiti che gli sono assegnati. Tutto il resto sono parole, parole, parole. Ma anch’io ne ho già scritte troppe! Perdonatemi

Aem, Ceraso replica al sindaco

Gentile Direttore, vorrei intervenire in merito alla “strapazzata” che il Sindaco mi avrebbe dato durante l’Ufficio di Presidenza riunitosi come commissione martedì scorso per la presentazione della delibera che sarà votata nel prossimo Consiglio Comunale sulla razionalizzazione delle partecipate.

Ci tengo a precisare che la suddetta sfuriata è stata scatenata da alcune semplici domande che ho posto al Sindaco relative alla situazione debitoria e patrimoniale di Aem  spa,  alle quali lo stesso si è rifiutato di rispondere, invitandomi ad andare a leggere i bilanci e aggredendomi verbalmente con riferimento alle mie responsabilità inerenti al ruolo che ho ricoperto nella passata Amministrazione.

Tralasciando ogni commento sui toni usati e il rispetto dimostrato, a maggior ragione da chi più volte ha fatto richiami alla pacatezza e prediche all’opposizione sul rispetto dell’avversario politico, vorrei esplicitare le due domande che hanno determinato la scomposta reazione del Sindaco.

1) Preso atto che al 31/12/2014  l’Aem a fronte di un patrimonio di 228 milioni di euro aveva un debito di 109 milioni di euro è possibile sapere ad oggi a fronte di un debito di 8 milioni di euro a quanto ammonta il patrimonio di Aem?

2) In merito al debito di 109 milioni di euro del 2014 a quanto ammonta la quota determinata dai cinque anni di Amministrazione Perri e a quanto la quota addebitabile alle passate amministrazioni di centrosinistra?

Ora è probabile che l’imbarazzo del Sindaco nel rispondere alle suddette domande si sia sfogato nell’ira verso di me per averle poste, in quanto un conto è vantarsi di aver salvato l’Aem riducendo il debito da 109 a 8 milioni di euro e un conto è dover ammettere che l’Aem è ormai una società patrimoniale senza patrimonio. Tra l’altro per avere questo dato quale bilancio dovrei andarmi a leggere visto che quello appena approvato non è ancora stato reso pubblico?

Così come un conto è sparare sulle responsabilità passate circa l’indebitamento  e un conto è dichiarare che su 109 milioni di debito il 20% è imputabile alle decisioni assunte dall’Amministrazione Perri mentre l’80% è frutto delle amministrazioni di centrosinistra.

Ma quando il Sindaco richiama alle responsabilità del passato si rende conto che  l’attacca  è principalmente al partito che fa parte della sua coalizione? Ha ben presente che chi fa parte della sua Giunta è stato un protagonista di quelle decisioni che hanno generato l’80% del debito di AEM? Mi riferisco al Vice Sindaco Maura Ruggeri, in consiglio dal 1995 e Assessore dal 1999 al 2009, all’Assessore Virgilio  e all’Assessore Alessia Manfredini, membri più che attivi del partito di quegli anni.

Per non parlare del fatto che nel Consiglio di Amministratore di Aem e di Lgh, come segno di discontinuità rispetto alla gestione passata, è stata scelta dal Sindaco, Fiorella Lazzari, altro politico di lungo corso che certamente ha sostenuto le scelte di quegli anni del partito al quale tutt’ora appartiene.

E visto che il Sindaco giudica negativamente come è stata gestita Aem fino ad oggi è possibile sapere nel dettaglio quali operazioni del passato la società non avrebbe dovuto compiere?

In realtà rispetto al mandato di Perri il Sindaco si è già espresso chiaramente criticando ad esempio la vendita delle aree dell’ex macello e del mercato ortofrutticolo. Faccio solo presente che senza la suddetta operazione oggi il Sindaco non avrebbe inaugurato alcun polo tecnologico.

Ma sono maggiormente interessata a sapere quali delle operazioni gestite dal centrosinistra negli anni passati il Sindaco, con il senno di poi, non avrebbe compiuto.

Forse la costruzione nel 2003 dei nuovi pozzi e degli impianti per il trattamento dell’acqua potabile? O la posa nel 2000 della fibra ottica? O l’acquisizione delle reti idriche nel 2007? Tutte operazioni compiute dal centrosinistra, in anni in cui il Comune certamente si trovava in una situazione economica migliore rispetto a quella in cui si è trovata ad amministrare la Giunta Perri, nel pieno della crisi economica del 2009 e con la stretta del patto di stabilità che fortunatamente la Giunta Galimberti non ha conosciuto, visto la normativa più favorevole di cui sta godendo.

Ma allora Sindaco invece di continuare ad attribuire responsabilità ad altri e meriti a se stesso, non sarebbe meglio smettere di giudicare le decisioni del passato e preoccuparsi solo di sostenere le proprie che di fatto restituiscono sì alla città una società senza debiti ma anche senza patrimonio e che è tutt’altra cosa rispetto a quella  società patrimoniale che per anni ha contribuito allo sviluppo dei servizi pubblici della nostra città?

Maria Vittoria Ceraso

Acciaieria di lotta e di governo

Il comunicato stampa pubblicato sabato 24 su “La Provincia di Cremona” in prima pagina, apparso anche su “Cremonaoggi”, è così preoccupante che fa discutere ancora, più di una settimana dopo la pubblicazione.

arvedi comunicato stampa IMG-20170624-WA0001

 

Il comunicato afferma che le Acciaierie Arvedi spa (di Cremona e di Trieste) “continuano a subire illegittime e inaccettabili pressioni, la cui ragion d’essere rischia di apparire francamente estorsiva, realizzate anche attraverso la diffusione di notizie false e tendenziose”. Di conseguenza la società Acciaierie Arvedi “provvederà a perseguire tutti i responsabili nelle opportune sedi”.

E’ davvero molto preoccupante! Il riferimento è alle polemiche di Trieste sull’area a caldo? Sembra la descrizione di una specie di attività mafiosa o comunque di un’alleanza tra forze diverse (un’organizzazione a scopo criminale), che diffondendo notizie false e tendenziose – all’insaputa di una testata comunque ostile? – riesce a esercitare pressioni a scopo di estorsione.

C’è da augurarsi che non esista una simile attività criminale contro nessuna industria.

Durante l’ultimo Osservatorio Arvedi, nel quale è stata esposta l’ultima Autorizzazione integrata ambientale, l’acciaieria ha dimostrato un atteggiamento collaborativo verso le istituzioni e gli organi di controllo, in particolare mediante gli interventi di Alessandra Barocci. Non è una novità. L’acciaieria collabora con le istituzioni, che da parte loro – è compito del settore Ambiente della Provincia, e in altri casi del settore Pianificazione territoriale – dettano prescrizioni, cioè obblighi che l’industria siderurgica deve rispettare per la propria compatibilità ambientale.

Qualche giorno dopo è stato pubblicato il comunicato riprodotto qui sopra in foto. Appaiono così due volti diversi dell’acciaieria, l’uno collaborativo l’altro allarmato da quel tipo di pressioni, sinora rimaste anonime. Quindi la principale industria cremonese, con il suo cavaliere del lavoro, combatte, lotta, si oppone ad atteggiamenti particolarmente aggressivi. Quali, per ora non si sa.

La via maestra resta quella dell’Osservatorio Arvedi, spesso criticato, ma in grado di informare e di far applicare le leggi senza spirito di parte. La pubblica amministrazione non può essere schierata contro o a favore di un privato.

 

 

 

 

Democrazia atea: “L’ostilità verso lo ius soli spesso indica povertà culturale”

Il legame tra la persona e lo Stato è un legame di appartenenza.

La cittadinanza non è altro che appartenenza ad uno Stato e da questo legame derivano diritti e doveri.

Ogni Stato definisce i criteri di questa appartenenza e ogni Stato stabilisce in maniera autonoma la linea di demarcazione tra cittadini/appartenenti e non-cittadini/estranei.

In tutti i Paesi i criteri di appartenenza sono riconducibili a quattro categorie:

1) Per nascita da genitore cittadino (ius sanguinis);

2) Per nascita sul territorio dello Stato (ius soli);

3) Per matrimonio con un cittadino (iuris communicatio)

4) Per beneficio di legge rispondendo a requisiti predeterminati (in Italia: per essere residenti ininterrottamente per 10 anni; per essere nati da genitori stranieri e se si risiede ininterrottamente fino a 18 anni facendo domanda entro i 19 anni).

In Francia vige il principio dello ius soli per cui coloro che nascono sul territorio francese da genitori anch’essi nati in Francia, sono cittadini francesi. In Francia lo ius soli vige già dal 1515 ma in Francia la cultura dei diritti umani è certamente più interiorizzata che altrove e non è un caso che in quello Stato nel 1789 fu emanata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino.

Anche in altre nazioni come la Spagna, la Germania, il Brasile, l’Argentina, gli Stati Uniti, per citarne alcuni, vige lo ius soli, anche se con differenti modalità di accesso.

Le norme più restrittive sono quelle italiane e quelle svizzere.

L’incremento dei flussi migratori ha imposto agli Stati di affrontare le conseguenze connesse alla condizione di stabilità sul territorio dello Stato da parte dei non-cittadini e dunque la cittadinanza diventa il limite dell’appartenenza ad una comunità per concedere o negare, sostanzialmente, l’esercizio dei diritti politici.

Gli emigranti italiani di terza e quarta generazione, che non hanno alcun legame diretto con l’Italia, e non è infrequente che non ci siano mai stati, partecipano alle elezioni politiche, mentre i non-cittadini/estranei pur pagando le tasse nel nostro Stato, non hanno la possibilità di esercitare il diritto di voto.

E’ indubbio che le problematiche dell’immigrazione non si siano mai storicamente risolte con l’esclusione ma abbiano trovato una svolta di equilibrio attraverso legislazioni che hanno favorito l’integrazione.

L’adozione del criterio dello ius soli è certamente una modalità che va nel senso della soluzione delle problematiche derivanti dai flussi di immigrazione.

Attraverso la regolamentazione della cittadinanza lo Stato è posto nella condizione di esprimere la sua volontà politica di attuazione o meno del principio di uguaglianza stabilendo le condizioni di superamento del mero profilo giuridico-formale per attuare piuttosto un principio sostanziale di valorizzazione di etnie diverse, di principi religiosi differenti, di culture differenti, nella prospettiva di una integrazione che si alimenta del reciproco riconoscimento delle singole specificità.

In Italia il principio di uguaglianza non è culturalmente interiorizzato.

Ancora molti confondono il principio di uguaglianza con la escludente affermazione di stampo religioso secondo la quale “siamo tutti uguali perché siamo tutti figli di dio” e dunque chi non è figlio “dello stesso dio” non può essere uguale.

Al di là delle devianze religiose, il principio di uguaglianza significa piuttosto che tutti hanno accesso agli stessi diritti e devono rispondere degli stessi doveri e non significa di certo che siamo tutti uguali.

Se la cittadinanza è pur sempre il legame tra l’individuo e l’autorità statale, in un contesto storico come il nostro, nel quale molte delle autorità statali sono state cedute ad istituzioni sovranazionali e organisti comunitari, la cittadinanza ha già subito una mutazione con un evidente superamento delle schematizzazioni tradizionali, tanto che si è fatto largo il concetto di cittadinanza comunitaria.

Mutare la legislazione in Italia sull’accesso alla cittadinanza e dunque anche quella del criterio dello ius soli, è indubbiamente un passo verso la valorizzazione del principio di uguaglianza nella consapevole presa d’atto che siamo già una società connotata dal multiculturalismo.

In questo frangente si inserisce una sentenza del Tribunale di Lecce del marzo del 2013 che sancisce: “È cittadino italiano non solo lo straniero che, al momento della nascita, è stato iscritto all’anagrafe e possedeva il permesso di soggiorno, ma anche chi, semplicemente, aveva i requisiti di fatto per ottenere sia iscrizione che titolo, sebbene nessuno si sia attivato per richiederli”.

Questa sentenza sottolinea la necessità di rivedere la legislazione sui criteri di attribuzione della cittadinanza non solo nell’ottica di una più efficiente attuazione della normativa vigente, ma di una revisione generale dei criteri di accesso includendo lo ius soli che allineerebbe la legislazione italiana a quelle più avanzate.

Scontiamo purtroppo una diffusa povertà culturale che associa lo straniero al crimine anche quando le statistiche dell’ISTAT dicono il contrario.

Le statistiche dicono anche che le percentuali di crimine diminuiscono se gli stranieri diventano regolari, non solo in riferimento alla condizione di clandestinità, ma in riferimento ai reati più diversi.

L’ostilità con la quale sovente si discute dello ius soli è indicativa di come i vincoli di identità sociale, o etnica o religiosa o politica, interpretati in maniera escludente, siano la cartina tornasole della povertà culturale della popolazione italiana, in bilico tra la sudditanza psicologica e giuridica ad una monarchia confinante e l’incapacità di difendere i principi ispiratori sui quali si è fondata la Nazione che qualifica la propria cittadinanza.

Elezioni, valori, politica, futuro (di Benito Fiori)

 
In Italia e in Francia con il voto di domenica forse si è aperta una finestra nella politica che fa pensare a qualcosa di interessante per i suoi elementi di cambiamento che appaiono per lo più positivi e intriganti se si pensa alla rapidità con cui questo cambiamento sta procedendo. In Francia Macron con la novità del suo messaggio ha sbancato, e, pur creando grossi problemi ai socialisti, ha messo ai margini della scena politica quella destra che soltanto qualche mese fa era uno spauracchio addirittura per l’Europa. In Italia, anche se si è trattato solo di un voto parziale e per delle amministrative, le urne hanno emesso dei promettenti verdetti: a) il populismo, sancito dal buon risultato della Lega e Forza Italia insieme, è definitivamente patrimonio e cavallo di battaglia della destra, b) la sconfitta del saccente M5S, l’impreparato predicatore e improbabile maestro di democrazia, c)  l’aumento dell’assenteismo dalle urne di una altro 8% di italiani (nel 2012 il 68% e nel 2017 il 60%), che, se da un lato ha confermato la loro sfiducia nei partiti, dall’altro, con il successo di liste civiche pur senza storia, ha urlato il bisogno crescente nel paese di un nuovo e serio pensiero politico.
Una esigenza che non può essere provocata solo dalla nota sfiducia nei partiti per i tanti, troppi, scandali che si leggono sulla stampa e che si aggiungono alle molte inadeguatezze dei politici nella risoluzione dei problemi. Probabilmente, la causa sta nel vizio di quasi tutte quelle forze politiche che rivendicano un loro abusivo ruolo di depositarie di “valori”, proponendo poi all’elettorato sciatti programmi mancanti di ogni “orizzonte” lungimirante.
La realtà è che i grandi valori che hanno ispirato l’azione dei “padri fondatori” della nostra Repubblica oggi sembrano essersi liquefatti o “consumati”, quasi adeguandosi anch’essi ai paradigmi consumistici che governano le nostre “avanzate” civiltà. Oggi, l’uomo della strada quando si trova nella cabina elettorale, non avendo da giudicare un progetto politico supportato da “valori”, finisce col premiare quelle promesse elettorali che più delle altre gli danno le risposte per la risoluzione dei problemi che lo preoccupano in quel momento.
Viene così da pensare che, se a questo nostro uomo fosse chiara la visione ancorata a quei valori dimenticati di un futuro migliore e di un possibile avanzamento della condizione della gente, egli alla politica locale con il voto chiederebbe certamente la pulizia dei marciapiedi o maggiore illuminazione nella sua via, purché però in coerenza con un disegno per un domani che dia speranza ai propri figli e ai propri nipoti.
Ad esempio, al partito di cui condivide gli ideali domanderebbe cosa vuole fare
  • per assicurare ai giovani un futuro messo in forse ormai dalle emissioni climalteranti e inquinanti: le prime perché stanno condannando il pianeta e, le seconde, perché stanno già uccidendo decine di migliaia di persone l’anno;
  • per almeno dimezzare i 14 miliardi di incentivi dati alle colpevoli fonti fossili e investire le risorse trovate nel risparmio energetico nell’edilizia (Enea: «… per lo sviluppo sostenibile, finalizzata a promuovere insieme gli obiettivi di sviluppo, competitività e occupazione e quello della salvaguardia ambientale» http://efficienzaenergetica.acs.enea.it/doc/risparmio_casa_agg.pdf );
  • per cancellare l’assurdo ossimoro: diritto al lavoro e diritto alla salute;
  • per affrontare la inaccettabile sperequazione sulla distribuzione della ricchezza La ricchezza dell’1% più ricco degli italiani, in possesso del 23,4% di ricchezza nazionale netta, è pari a 39 volte la ricchezza del 20% più povero dei nostri connazionali. – https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2016/01/Scheda-Italia_-Un-Economia-per-l-unopercento.pdf);
  • per rendere più efficiente la macchina dello Stato;
  • per recuperare almeno parte dei 120 miliardi di evasione fiscale e dei 60 che finiscono in corruzione per consentire all’Italia un possibile sviluppo sostenibile e al tempo stesso toglierla dall’umiliante 60° posto nel mondo e il 27° nell’UE (dietro c’è solo la Bulgaria) nelle graduatorie del “CPI” (Corruption Perceptions Index) di Transparency International (https://www.transparency.it/cpi-2016-l-italia-guadagna-una-posizione-ma-non-basta/ ).
In conclusione, va preso atto che nella cultura corrente è stato consumato scientemente uno scambio immorale: la rassegnazione ad un incerto futuro in cambio della rassicurante consapevolezza, facendo riferimento a Zygmund Bauman, di appartenere alla comunità privilegiata dei “consumatori” (“consumo ego sum”). Un perverso baratto che ha portato l’“homo consumens” alla “comprensione” dell’insostenibilità del costo “economico” per realizzare un serio cambiamento di sistema e a fare apparire come una calamità la messa in discussione delle sue comodità e delle sue abitudini.
Onestà, fedeltà alle promesse fatte, interesse generale, bene comune, solidarietà non possono però essere evaporati. Al massimo,  saranno andati in letargo dentro le pagine dei libri in attesa che qualcuno li riscopra. Perché, presto o tardi, qualcuno lo dovrà pur fare.

Crema, Prc in ordine sparso alle urne: scheda bianca di Lottaroli

Rifondazione comunista a Crema mantiene aperto il dibattito interno anche in vista del ballottaggio di domenica prossima. Piergiuseppe Bettenzoli si è schierato per Stefania Bonaldi (Pd), considerandola un argine al centrodestra, in ascesa in Italia e a due punti percentuali dalla sindaca uscente. Il Prc ha ottenuto, sostenendo la candidata civica Mimma Aiello, più del 4%: è quindi decisivo, come altre forze di sinistra e ai cittadini esterni ai partiti, per l’eventuale conferma di Stefania Bonaldi. Con Enrico Zucchi, candidato del centrodestra, tornerebbe in auge il mondo che si riconosceva nella scuola di Cielle, già definita “ecomostro” dall’ex consigliere provinciale Bettenzoli, il quale conferma la lontananza dal Pd su molti punti, senza allinearsi né rimanere indifferente. Bettenzoli si sente chiamato in causa come elettore e sceglie. Mario Lottaroli, anch’egli ex consigliere comunale a Crema, invece non vede apprezzabili differenze tra i due candidati. La segreteria di Rifondazione invece non ha dato indicazioni di voto. Di seguito, la lettera aperta di Mario Lottaroli.

 

 

Quando diventa d’obbligo la scheda bianca

Sono un semplice iscritto a Rifondazione Comunista della Federazione di Crema e sono in totale disaccordo con la posizione assunta dal Segretario della Federazione Beppe Bettenzoli, in appoggio a Stefania Bonaldi al ballottaggio del 25 giugno.

La considero una scelta culturalmente subalterna al centro-sinistra e politicamente sbagliata, oltre ad essere profondamente incoerente con quanto scritto e dichiarato dallo stesso Bettenzoli nel corso della campagna elettorale.

È una presa di posizione in sintonia con la cultura del voto (in)utile, mentre penso che il voto davvero utile sia quello che risponde agli interessi e agli ideali di persone e classi sociali che il nostro partito ha l’ambizione di rappresentare.

Le differenze tra gli schieramenti esistono e sarebbe stupido o miope non riconoscerle, ad esempio, sui diritti civili e religiosi, ma vi è una piena sintonia sulle privatizzazioni, nel boicottaggio del bilancio partecipato e sulla norma “togli la panchina all’emarginato”.

Del centro-destra non mi curo perché è evidente che siamo antropologicamente agli opposti. Ma le differenze con centro-sinistra ci sono e sono consistenti, lo testimoniano i sofferti cinque anni trascorsi in coalizione nella maggioranza guidata da Stefania Bonaldi.

Se poi dovessi inoltrarmi nell’analisi delle differenze politiche a livello nazionale ed internazionale si aprirebbe una voragine incolmabile.

Per rimanere, come si dice, sul pezzo, per quanto mi riguarda, al ballottaggio voterò scheda bianca, senza patemi o sensi di colpa, per la semplice ragione che non mi sento politicamente rappresentato dalla candidatura di Stefania Bonaldi.

È una scelta che compirò con convinzione, in maniera ponderata e cosciente.

Mario Lottaroli

Ius soli nel deserto delle identità smarrite

Non c’è più uno Spirito oggettivo a disposizione, per inserirsi senza troppa fatica, con un semplice atto d’accettazione, in un mondo di istituzioni, etica e regole sociali già fatto, con le proprie leggi ampiamente giustificate dalla larga maggioranza. Manca una tradizione largamente riconosciuta a concedere convinzioni da nessuno messe in dubbio e contestate. Una poderosa svolta storica  ha scompigliato il mondo apparentemente ordinato del secondo dopoguerra, e l’immigrazione rende evidente il problema della sparizione della tradizione e dell’identità partecipata. La Costituzione non è patrimonio culturale comune: è stata solo strumento di opposizione al presidente del consiglio in occasione di un referedum, mai pienamente recepita in un Paese dove di “patriottismo costituzionale” è ben difficile parlare. E’ sparito il terreno sotto i piedi di chi si sentiva comprensibilmente e giustamente al sicuro, tutelato da una concezione “proprietaria” del lavoro, minacciato da nulla, sostenuto dagli ottimi rendimenti dei titoli di Stato e del risparmio postale. I vantaggi di cui buona parte dei cittadini italiani hanno goduto fino agli anni Novanta sono diventati un sogno, un miraggio, qualcosa che sembra irripetibile.

I nuovi cittadini “promossi” dallo ius soli, pur nella forma addolcita della legge in discussione oggi, chiamata anche “ius culturae”, non godranno mai dei benefici che lo Stato italiano rendeva possibili. Al contrario diventeranno cittadini dell’angoscia, della paura, in una società in cui inventarsi ogni giorno ragioni e combattere per affermare diritti. La condizione di straniero – angosciato, smarrito, costretto a inventarsi un’astuzia un sapere, quasi come Odisseo – è universale quanto mai prima: la cittadinanza garantita da una giusta legge indica una funzione di cittadino e un’etica che ha bisogno sì di diritti e di etica, ma anche di fantasia creativa.

 

 

 

 

 

 

 

Il centro sociale Dordoni: il sindaco ha deluso. Lettera aperta sullo sgombero

 
Nel saggio “Mappe del tempo”, il sociologo di origini israeliane Eviatar Zerubavel illustra come lo scorrere del tempo, lungi dall’essere percepito nella sua naturale successione algebrica, venga ricordato, interpretato e quindi tramandato nella sua forma “socialmente percepita”. Nella storia dell’umanità e dei singoli popoli alcuni anni, addirittura alcuni mesi, vivono di una “densità mnemonica” fuori dal comune, mentre addirittura secoli possono cadere nel dimenticatoio come “periodi vuoti”. Questa, naturalmente, è una costruzione sociale, figlia della centralità storica che culturalmente – e in maniera spesso consapevole e interessata – assegniamo ad alcuni eventi rispetto ad altri.
Quindi chissà che cosa avrebbe detto Zerubavel studiando il micro-cosmo della nostra città di provincia. Probabilmente spulciando i commenti nel gruppo cittadinista locale, sfogliando le pagine del quotidiano provinciale oppure leggendo gli articoli postati dalle testate online si sarebbe accorto che c’è una data, nella storia recente di questa città, che torna con forza nella parole e nelle dichiarazioni di molti, che vive di una “densità mnemonica” fuori dall’ordinario: il 24 gennaio 2015. Per qualcuno sembra diventata un’ossessione, per qualcun altro uno spartiacque, per molti probabilmente è rimasto ancora un grosso punto interrogativo.
E’ soprattutto – ma non solo – per coloro i quali sentono aleggiare un grande “perchè?” nella propria testa che scriviamo queste righe.
E’ stata la discussione di un ordine del giorno, in consiglio comunale, sulla chiusura dei centri sociali a farci prendere la decisione di lanciarci nella stesura di una lettera aperta.
E’ un format decisamente a noi atipico, soliti come siamo a prendere parola nel dibattito pubblico con comunicati, articoli o conferenze stampa. Eppure questa volta abbiamo deciso di lasciare da parte la formalità del lessico e dei discorsi del “parlar politico” per sottrarci ad una dinamica che ormai ha iniziato a tediare. Il gioco delle parti che da due anni a questa parte ha visto come attori il sindaco e la sua compagine di governo da una parte, l’opposizione capeggiata da Carpani della lega Nord dall’altra e la stampa che avrebbe analizzato lo svolgersi della battaglia dal suo quanto mai fasullo punto di osservazione rialzato, terzo e neutrale. E noi, purtroppo, che probabilmente ci siamo schierati su un campo di combattimento dove si stava svolgendo una battaglia i cui fini non erano i nostri, e la posta in palio era la credibilità per la prossima tornata elettorale delle formazioni politiche che animano il consiglio comunale.
Perché di questo stiamo parlando: lo sgombero del centro sociale Dordoni non è alle porte e probabilmente non lo sarà per ancora tanto tempo. E’ diventato argomento da campagna elettorale, ma sia sindaco che opposizione sanno che non è un’ipotesi realizzabile perché, in ultima istanza, le redini del gioco le tiene in mano la questura. E quest’ultima, mossa da pragmatismo realista, sa benissimo che nel breve e nel lungo periodo uno sgombero forzato creerebbe più problemi di ordine pubblico rispetto alla situazione attuale. Chissà che confusione che questa notizia potrebbe creare nella testa dei – a dir vero pochi – commentatori seriali da social network che vedono nel PD il nostro padrino politico. Probabilmente si scontreranno contro un rompicapo senza capo né coda: perché per tenere in piedi un fantomatico rapporti di parentela con i “poteri forti” della città dovranno dire che la Questura è la mamma che premurosamente ci coccola. Paradosso di difficile soluzione, vero? sgomberateli-voi
Togliamo dal campo ogni ambiguità: abbiamo sempre sentito come nostro dovere – e come interesse politico – prendere parola sul 24 gennaio, ma abbiamo dato per scontato che il teatrino della “campagna elettorale permanente” fosse un campo in cui potevamo ritagliarci, contro le narrazioni dei partiti, il nostro spazio di parola e visibilità. Probabilmente è stato pure così, ma abbiamo fatto sicuramente un grosso errore – il primo di una serie – nel limitarci a quel veicolo e format comunicativo. A colpi di brevi comunicati, funzionali al fatto che venissero pubblicati dai giornali cartacei e online, abbiamo con arroganza tralasciato un piano del ragionamento più articolato e approfondito che eppure, dopo la concitazione del periodo immediatamente successivo al corteo, ci è stato implicitamente chiesto da tanti e tante che hanno frequentato e attraversato il centro sociale negli ultimi anni. Su infoaut.org la sera stessa è uscito un editoriale, il giorno dopo un comunicato del collettivo del centro sociale e nel periodo successivo sono arrivate regolarmente degli aggiornamenti prima sullo stato di salute di Emilio e dopo sulla situazione giudiziaria dei molti indagati e processati; eppure con questi scritti ci siamo rivolti soprattutto alle soggettività militanti che, con le dovute differenze – chi critico, chi solidale – condivideva già con noi un lessico, un armamentario teorico, un piano di ragionamento. Non abbiamo curato abbastanza la comunicazione con le soggettività che sul territorio ci chiedevano genuinamente il “perché” di quella giornata, senza però masticare il linguaggio del “movimento” e i suoi orizzonti teorici; abbiamo anzi preteso che fossero soprattutto gli altri a fare dei passi nei nostri confronti, mossi dal tentativo di capire e comprendere, invece di assumerci noi la volontà di andare incontro a chi poneva domande. Un approccio arrogante con esito farsesco per chi ha l’ambizione di porsi come avanguardia politica.
Con queste persone non possiamo che riconoscere i nostri errori e prometterci, a partire dal prossimo futuro, di lasciare da parte la presunzione che ci ha caratterizzato e ad assumere un atteggiamento di maturità politica diverso.
Chiarito questo aspetto per noi centrale vogliamo proseguire con il nostro discorso.
Sappiamo che il rischio di un scritto che vuole parlare a tutti sia quello di non parlare effettivamente a nessuno eppure non possiamo ritenere conclusa qui la lista dei nostri destinatari.
Proviamo a procedere con ordine, lanciandoci in questo tentativo azzardato.
Prima ci siamo rivolti agli amici potenziali, arrogantemente trascurati; ora parleremo a coloro che hanno camminato sul filo del rasoio, assestandosi sul picco dell’equidistanza, rischiando di precipitare ora da un lato, ora dall’altro del burrone; in ultima ci rivolgeremo alla nostra contro-parte politica, nello specifico nella persona del sindaco Gianluca Galimberti.
In una città come Cremona le associazioni e le organizzazioni politiche progressiste (usiamo questo termine consapevoli di “tagliare con l’acccetta” sfumature, divergenze, tematizzazioni contrastanti e problematicità di fondo in tale categoria) si contano su una mano ed è inevitabile dire che il 24 gennaio è stato spesso inteso come uno spartiacque che ha diviso un campo amico su posizionamenti specifici ed inequivocabilmente opposti. O meglio, noi stessi siamo stati i primi a fornire questa lettura delle cose.
Anche qui vogliamo fare la nostra parte di autocritica. Probabilmente questa visione è stata il prodotto di una nostra ingenuità di fondo: abbiamo pensato che il fatto di aver percorso tratti di percorso insieme, fianco a fianco – alcuni più importanti, altri meno – fosse un’ ipoteca sul futuro agire politico comune, dove le contraddizioni e le divergenze anche aspre potessero sempre risolversi in una dialettica politica franca e aperta. I fatti hanno dimostrato che non è stato così, probabilmente per responsabilità e chiusure reciproche. E nonostante fosse chiaro, da parte nostra, che la frammentazione di un campo solo apparentemente univoco sarebbe stata prima o poi inevitabile, la realtà ha ancora una volta mostrato lo iato esistente tra la teoria e la prassi facendo emergere tutte le difficoltà, i problemi, gli scazzi reali che seguono le profonde fratture su come ciascuno intende e concretizza il proprio agire politico.
Non ci interessa l’amicizia politica a tutti i costi di questo campo, ma ancor meno ci gratifica o vogliamo ricercare l’inimicizia politica a tutti i costi. E visto che divergenze, critiche e posizionamenti sono stati legittimamente resi pubblici dopo il 24 gennaio e rimarcati informalmente e indirettamente nella quotidianità politica cittadina, non pensiamo con queste righe di fare un torto al buon vecchio detto che suggerisce di lavare i panni sporchi in casa propria.
Crediamo che alcune posizioni, seppur comprensibili, assunte da alcune soggettività collettive dopo il 24 gennaio abbiano risposto alle esigenze di salvaguardia del proprio orticello, mascherate dietro al tema dell’equidistanza, o peggio dell’equiparazione dei fascisti di CasaPound ai supposti “fascisti rossi” dei centri sociali.
Tuttavia, nella consapevolezza delle profondissime differenze politiche, ormai rese evidenti dalla forza degli eventi passati, crediamo che in una cittadina come Cremona la strada, ove e quando possibile, di un tratto di percorso in comune debba rimanere aperta, non per la sopravvivenza delle soggettività politiche fine a sé stessa – di cui ci importa poco, in primis a partire da noi stessi– ma per la costruzione, seppur nella parzialità del nostro contesto cittadino, della costruzione di relazioni sociali diverse e alternative rispetto ad un presente sempre più opprimente ed oppressivo.
Forse questo è un tentativo illusorio, qualcuno potrebbe vederci persino una ricaduta in una nuova ingenuità politica. Dal canto nostro siamo disposti ad imboccare nuovamente questa strada, con maggiore consapevolezza delle sue possibilità e dei suoi limiti, partendo dal riconoscere la nostra parte di responsabilità nelle chiusure reciproche che ci sono state.
Last but non least ci rivolgiamo a lei, Signor Sindaco, nel tentativo di rispondere nuovamente alle dichiarazioni e alle prese di posizione che in questi due anni ha ripetutamente rimarcato.
Le mostriamo tutta la nostra delusione nei suoi confronti, non perché abbiamo mai sostenuto la sua candidatura o il suo programma politico, ma perché da parte nostra c’è profondo rispetto per le grandi tradizioni politiche che hanno avuto un ruolo nel percorso emancipatorio dell’umanità.
Le nostre origini politiche e culturali risalgono agli anni ’50, con le prime grandi eresie nella Chiesa allora intoccabile del socialismo reale; nascono con l’opposizione di sinistra allo stalinismo prima e alla accettazione dell’ordine capitalista dopo, di cui il PCI si è fatto interprete e garante; nascono con le esperienze operaiste ed eterodosse che nel “lungo ’68” conclusosi a metà degli anni 80 ha visto le classi subalterne tentare di prendere in mano le redini del proprio destino.
Con questo background culturale non possiamo che riconoscere nel cattolicesimo sociale, dal cui mondo ci hanno riportato lei provenga, un’esperienza eterodossa che nella storia recente ha dato i natali politici a persone come il rivoluzionario colombiano Camillo Torres; in Italia a Don Gallo, il cosiddetto “prete dei poveri” morto nel 2013 e risalendo un po’ più indietro nella storia nazionale Giorgio La pira, sindaco democristiano di Firenze che venne accusato di “comunismo bianco” perché scelse di requisire gli alloggi sfitti dei palazzinari per assegnarli agli sfrattati e ai senza tetto.
Nonostante le profonde differenze che hanno animato il mondo del cattolicesimo sociale – in molti casi anche molto distante, se non addirittura avverse, alla nostra modalità di interpretare il mondo e la politica – non possiamo che riconoscervi una storia di grande coraggio, proprio quello che ha lei è mancato dopo il 18 e il 24 gennaio 2015.
Già… perché esiste anche questa data.
Troppo spesso viene dimenticata e quando ritorna agli onori delle cronache viene presentata assolutamente distorta e traviata. Eppure nei suoi discorsi vi è un richiamo continuo e univoco alla manifestazione del 24 gennaio, da lei evocata come se fosse l’anticamera dell’inferno.
E’ stato professore delle scuole superiori per tanti anni, perciò non si annoierà se ritorneremo a Eviatar Zerubavel, il sociologo citato in apertura di questa lettera. L’accademico cognitivista rimarca con forza come ogni cesura mnemonica, ovvero la scelta di un momento, di un fatto o avvenimento con cui si produce una frattura tra un “prima” e un “dopo” storico, risponde a specifici interessi soggettivi. Nel suo testo viene citato il seguente esempio: così come gli storici vicini al sionismo fanno partire la data di inizio della seconda intifada il 29 settembre 2000 con gli scontri tra il popolo palestinese e l’esercito israeliano, gli storici vicini alla resistenza palestinese la fanno partire il giorno prima con la visita di Sharon alla Spianata delle moschee con una scorta di mille soldati israeliani.
Lei compie una procedura analoga e rimuove completamente la giornata del 18 gennaio che ha portato tra la vita e la morte un nostro compagno per fa partire la sua narrazione dal 24 gennaio stesso, come se questo fosse un evento isolabile e decontestualizzabile.
Sia chiaro, non stiamo paragonando il 24 gennaio all’intifada palestinese, ci mancherebbe! Stiamo invece sottolineando il metodo con cui si è soliti costruire delle narrazioni di parte che cercano di evitare il piano della complessità di determinati eventi per propri fini personali, particolari ed ideologici.
Inoltre ci dovrebbe anche spiegare quale patto con la città è stato incrinato o rotto definitivamente dal centro sociale Dordoni. Perché se questo è un ottimo espediente retorico, noi facciamo fatica a scorgere la sostanza dietro il sofisma. Il conflitto sociale è elemento costitutivo della prassi politica dagli albori della società, potremmo addirittura dire che è a fondamento del patto sociale stesso, del vivere comune. Molti pensatori della democrazia partecipativa arrivano a dichiarare, addirittura, che è il sale del progresso e del vivere in società. Quindi di cosa sta parlando?
Quale sarebbe, infine, l’organo terzo e imparziale che avrebbe decretato la rottura di questo patto con la cittadinanza? Se la divisione dei poteri ha ancora un senso nello stato di diritto, certamente non dovrebbe competere a lei, come dovrebbe sapere da buon democratico e liberale. Per questo ci suona strano che lei continui imperterrito a ripetere questa frase come se fosse un mantra, a maggior ragione dopo che l’unico militante inquisito del centro sociale nel processo del 24 gennaio è stato assolto in primo grado.
Arriviamo alla fine affrontando l’argomento che più ha animato la polemica e il dibattito che sono seguiti alla manifestazione di quel famoso gennaio. Esponenti politici e giornalisti hanno subito dichiarato che una città intera è stata devastata e rasa al suolo, presa in ostaggio dalla calata dei barbari incappucciati. Non abbiamo sentito tutto questo clamore quando il quotidiano “La Provincia” si è visto costretto ad aprire in prima pagina con la notizia che solo meno di dieci attività commerciali – soprattutto banche e assicurazioni – hanno infine chiesto il risarcimento dei danni. Noi ci siamo sin da subito espressi su quegli episodi con il comunicato del giorno seguente e chi avrà voglia di rileggerselo, a freddo e in buona fede, troverà che la nostra posizione è ben diversa dalla narrazione che poi ne è stata fatta da giunta e sciacalli vari.
Detto questo vorremmo sapere che idea ha, signor Sindaco, della sua città. Noi pensiamo che banche e assicurazioni non diventino per metonimia l’intera città di Cremona, anzi. Crediamo sia una questione di priorità e se lei dovesse pensare che delle banche private rappresentino la nostra città non possiamo che essere tristi per lei e per la sua visione del mondo. Non è un mero fatto quantitativo, signor Sindaco; inerisce piuttosto ad una logica qualitativa.
Centro sociale Dordoni

Fusione Lgh-A2A, il sindaco di Crema Stefania Bonaldi sferza il M5S

Fusione LGH-A2A, l’intervento del sindaco Stefania Bonaldi

“ LGH E A2A: la letteratura Fantasy del M5S –    La campagna elettorale è iniziata e il M5S, a Crema poco significante, non solo numericamente, la affronta con la barbarie del suo guru. Leggo il Comunicato Stampa relativo all’operazione LGH A2A e non posso fare a meno di puntualizzare alcuni aspetti, perché non si può lasciare che imperversino la disinformazione, la sciatteria, l’incompetenza a 5Stelle.

La partnership LGH – A2A non è stata una vendita né tanto meno una svendita, bensì un’operazione di alleanza strategica di grande rilievo industriale, che porterà importanti benefici a tutti i nostri territori, assicurando ai cittadini servizi all’avanguardia, di qualità, innovativi e a prezzi competitivi, salvaguardando l’occupazione per le oltre 1200 persone del gruppo e lo sviluppo per l’indotto delle nostre imprese. Solo nelle battaglie navali dei bambini capricciosi i lavoratori sono pupazzetti Lego.

Dalla valorizzazione dell’operazione sono anche derivate risorse per i soci che saranno utilizzate per gli investimenti sui nostri Territori (per iniziare, i varchi elettronici sovracomunali, voluti da quasi una cinquantina di nostri Comuni).

L’operazione, proprio per la prevalenza dei contenuti industriali, è stata molto complessa, impegnando per oltre un anno soci, amministratori e management delle nostre patrimoniali e di LGH, assistiti da primari studi legali e consulenti finanziari sia da parte LGH che da parte A2A (società quotata in Borsa), anche per assicurare il miglior percorso, nel rispetto di una normativa che, come appare anche dalla lettura della comunicazione ANAC, è complessa e di non facile e univoca interpretazione.

L’accordo è stato approvato e concluso nella convinzione di aver operato nella massima trasparenza e dopo aver ricevuto a fine luglio 2016 il via libera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

L’ANAC ha svolto la sua indagine e, legittimamente, ha ritenuto di contestare non l’operazione di partnership, bensì la procedura adottata per il suo conseguimento. Altrettanto legittimamente i soci di LGH invieranno per mezzo dei loro legali le loro controdeduzioni nei tempi previsti, attendendo con fiducia gli esiti del procedimento, che è tutt’altro che concluso.

In uno stato di diritto funziona così, mentre in un club di adolescenti velleitari e poco competenti si scrivono sceneggiature ispirate alla letteratura fantasy, come i racconti di conti salati o sanzioni a carico dei cremaschi, che non ci saranno.”

Stefania Bonaldi